Teatro

26/3 – “PENE D’AMOR PERDUTE” al Teatro Due

PENE D’AMOR PERDUTE
di William Shakespeare
traduzione Luca Fontana

con
Massimiliano Aceti, Maria Chiara Arrighini, Matilde Bernardi, Marco Fanizzi, Chiara Ferrara, Davide Gagliardini, Vincenzo Grassi, Irene Mantova, Luca Nucera, Salvatore Palombi, Guido Quaglione, Massimiliano Sbarsi, Rebecca Sisti, Francesca Somma, Marcello Vazzoler, Pavel Zelinskiy

Scene Fabiana Di Marco
Costumi Ilaria Albanese
Luci Luca Bronzo

regia Massimiliano Farau

produzione Fondazione Teatro Due

MASSIMILIANO FARAU METTE IN SCENA PENE D’AMOR PERDUTE DI SHAKESPEARE,
TEOREMA PERFETTO, SFRENATAMENTE BUFFO, SUI LIMITI DELL’AMORE CORTESE,
L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE DI UNA COMPAGNIA DI GIOVANI ALLA SCOPERTA DELLA MATURITA’
E DI UNA NUOVA VISIONE DELLA DONNA, NON PIÙ TERRITORIO DI CONQUISTA,
MA CON-SORTE NELL’AFFRONTARE LA VITA.
UNA CALEIDOSCOPICA E MIRABOLANTE GIOSTRA DI PAROLE AFFIDATA A UNA TALENTUOSA ED ENERGICA COMPAGNIA DI 16 ATTORI,
NUOVA PRODUZIONE DI FONDAZIONE TEATRO DUE.

Debutta il 26 marzo 2022 alle ore 20.30 in prima nazionale a Teatro Due di Parma PENE D’AMOR PERDUTE di William Shakespeare con la regia di Massimiliano Farau, che dirige Massimiliano Aceti, Maria Chiara Arrighini, Matilde Bernardi, Marco Fanizzi, Chiara Ferrara, Davide Gagliardini, Vincenzo Grassi, Irene Mantova, Luca Nucera, Salvatore Palombi, Guido Quaglione, Massimiliano Sbarsi, Rebecca Sisti, Francesca Somma, Marcello Vazzoler, Pavel Zelinskiyun una compagnia energicamente creativa, composta di giovanissimi diplomati insieme a membri dell’Ensemble Stabile di Teatro Due, (repliche 27 marzo, 1, 2, 3 aprile).
Nel giardino della corte di Navarra, un luogo fuori dal tempo, labirintico e pieno di simboli dal sapore un po’ surreale tra Dalì, Magritte e Warhol si svolge la vicenda: il Re convince i suoi tre amici del cuore a dedicarsi per tre anni agli studi, evitando qualsiasi piacere della carne e soprattutto le tentazioni del gentil sesso.
L’inaspettato arrivo di una delegazione, formata dalla Principessa di Francia e da tre bellissime e brillanti dame, li renderanno però ben presto spergiuri. Dopo aver tradito il loro intento, un po’ vergognandosene un po’ mentendo l’un l’altro, inizieranno il corteggiamento scrivendo ampollose poesie amorose, nelle quali Shakespeare realizza una irresistibile parodia di tutta la tradizione cortese, post stilnovista e post petrarchesca.
Grazie a queste quattro “maestre d’amore”, e ad un’inattesa epifania del lato più doloroso della vita, comprenderanno anche la natura adolescenziale della propria visione dell’amore e dell’esistenza, e la vacuità del loro culto fanatico del linguaggio concettoso e lambiccato come mezzo di “conquista” erotica.
“Nella veloce quanto incisiva educazione sentimental-esistenziale cui vengono sottoposti – racconta il regista Massimiliano Farau – , i quattro cavalieri, e con loro forse Shakespeare stesso – che in questa commedia tocca il vertice del proprio virtuosismo stilistico ma quasi con malinconia ne scopre anche il limite – non possono fare a meno di constatare una verità che secoli dopo Harold Pinter sintetizzerà così “il linguaggio è un costante stratagemma per coprire la nudità”.
E attraverso questa consapevolezza accederanno, forse, ad una saggezza diversa, ad una visione della vita e dell’amore che non cerca più di espungere il dolore a colpi di wit “eufuistico”, ma lo ingloba in una concezione più matura della condizione umana; una concezione fondata sulla consapevolezza della nostra fallibilità e finitudine; ed entro la quale la donna non è un territorio di conquista ma può diventare autenticamente (e letteralmente) con-sorte nell’affrontare anche le asperità e i lati meno luminosi della vita.
Con Pene d’amor perdute Shakespeare ha creato un teorema perfetto, sfrenatamente buffo ma anche screziato di una strana inquietudine, sui limiti dell’amore cosiddetto cortese (con tutto il suo apparato, in realtà, di metafore violentemente belliche per descrivere, appunto, la “conquista” della donna) e insieme di una idea della ricerca della verità come atto puramente intellettualistico di presa di possesso del reale. Due facce, a pensarci bene, della stessa attitudine predatoria verso il mondo e la donna, da cui noi uomini siamo troppo facilmente tentati”.
La messa in scena si rifà all’immaginario di quell’epoca di idealismi e aspirazioni spiritualistiche misticheggianti vagamente velleitarie, la cui epitome è il viaggio in India dei Beatles. I costumi di Ilaria Albanese rimandano alla moda degli anni ’60, mentre le musiche di Enrico Padovani rielaborano al clavicembalo alcuni brani iconici del quartetto di Liverpool, come per dar loro una patina ironicamente antichizzante; lo spazio scenico, un giardino esoterico e iniziatico ricco di simboli tali da creare un’atmosfera surreale è curato da Fabiana Di Marco e illuminato dalle luci di Luca Bronzo.

Informazioni e biglietteria: biglietteria@teatrodue.org – tel: 0521.230242 – www.teatrodue.org
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